In tutte le scienze, quindi anche in quelle dello sport, lo scopo è di rendere noto qualcosa che prima era ignoto all’uomo. Questo significa far avanzare la conoscenza umana, renderla più solida e/o più appropriata. L’obiettivo si riduce quindi a una parola: la scoperta. È la scoperta che dà legittimità scientifica a una ricerca.
Nell’odierna società di massa, lo sport deve “scoprirsi” bene culturale. Bene culturale inteso come linguaggio culturale globale. In qualunque parte del mondo, infatti, è sufficiente dare una palla a un bambino per vederlo immediatamente giocare a calcio.
Leggiamo qualche definizione. L’articolo 9 della Costituzione Italiana recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”. La convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale definisce “beni culturali le pratiche, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, le abilità che comunità, gruppi e individui riconoscono come parte del loro patrimonio culturale, procurando loro un senso di identità e continuità e, allo stesso tempo, promuovendo rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”.
La nozione di bene culturale è, quindi, una nozione aperta poiché risente profondamente dell’evoluzione di ciò che è considerato cultura da parte della società. Le varie attività umane proiettano un contesto storico di civiltà con cui si identifica la cultura, di cui l’arte è una delle espressioni. Anche lo sport è un’impresa umana, ma oggi molte delle imprese umane si studiano come differenti oggetti di ricerca, come se esistessero in diversi compartimenti, pur essendo compiute dai medesimi esseri umani.
E’ necessario un recupero diverso, più moderno, del rapporto arte-olimpismo-sport. Attraverso l’analisi di alcuni tra i più significativi scritti del barone de Coubertin, infatti, emerge il ruolo dello sport come mezzo di cultura e di formazione[1]. Va ricordato che nella V edizione dei Giochi olimpici che si è tenuta a Stoccolma (1912) si svolsero i primi Concorsi d’Arte, il cosiddetto Pentathlon delle Muse.
Da un lato i giochi e l’esercizio fisico sono da sempre legati, lo sport ai primordi era lotta per la sopravvivenza, oggi è arte e spettacolo; dall’altro nello sport l’immagine ha sempre avuto una grande valenza per facilitare la comprensione dell’insegnamento ginnico e della scherma fin nei primi manuali dedicati a queste discipline.
D’altro canto ci sono diversi modi per ricostruire una storia dell’arte riconducibili a due modelli principali:
- ricerca e identificazione degli oggetti che hanno valore d’arte;
- in cosa consiste, come si generi e tramandi, si riconosca e fruisca il fatto artistico.
Giulio Carlo Argan quando ha scritto la sua storia dell’arte ha intrapreso una terza via, recuperando il concetto di storia generale della cultura, all’interno della quale si trova l’arte[2]. È questo il motivo per cui Argan fu tra i primi sostenitori del metodo iconologico di Erwin Panofsky: la ricerca iconologica, per il fatto di individuare una serie di immagini che si ricollegano in un rapporto genetico, ne ricostruisce lo sviluppo o il percorso dalla tradizione all’innovazione, creando un ambito di relazioni specifico proprio all’interno dell’immagine artistica di fondamentale importanza per capirne il significato e il valore, le sue possibili implicazioni e i suoi possibili sviluppi[3].
Come recuperare il rapporto arte-olimpismo-sport? Noi abbiamo individuato quattro ambiti:
- Formazione: occorre dare il giusto risalto all’interdisciplinarietà che un linguaggio universale come lo sport porta con sé.
- Comunicazione: l’arte che ha come tema lo sport non è un’arte di serie B. Prendiamo le esposizioni temporanee: perché in queste occasioni solo rarissimamente vengono esposte opere che hanno come tema lo sport? Perché manca la cultura, la ricerca e quindi la scoperta.
- Musei: se da un lato rappresentano sicuramente i luoghi della nostra memoria storica, dall’altro devono essere vissuti come luoghi vivi con esposizioni temporanee sempre diverse e attuali.
- Grandi eventi. Le Olimpiadi in primo luogo. Già de Coubertin, in merito alla decisione di far svolgere la IV edizione delle Olimpiadi a Roma, andava proprio in questa direzione: “io volevo Roma perché solo là, dopo un’incursione nell’America utilitaristica, i Giochi avrebbero ripreso la toga sontuosa, tessuta d’arte e di pensiero, con cui io avevo voluto fin dal principio ammantarli”[4].
È necessario quindi recuperare il rapporto arte-olimpismo-sport in una chiave più moderna. Per fare un passo avanti in ambito culturale e sociale occorre però farne uno indietro e ricordare che nelle prime edizioni delle Olimpiadi non c’erano soltanto gare ginniche e atletiche, ma anche gare di poesia, di letteratura, di musica, di danza e altre ancora. Questo perché i Greci non consideravano lo sport come l’unico strumento educativo, ma solo una parte importante nella formazione del giovane uomo moderno, insieme con le altre arti. Lo sport deve riscoprire questo connubio, per concretizzare le sue caratteristiche di trasversalità e di interdisciplinarietà, per essere finalmente riconosciuto come bene culturale, al pari delle altre arti e delle altre imprese umane. Senza dimenticare che, come diceva Andy Warhol: “Non ti preoccupare, non c’è niente che riguarda l’arte che uno non possa capire”.
[1] Alessandro Mariani “Corpo e modernità nel pensiero pedagogico di Pierre de Coubertin” pag. 109 in Religio athletae, a cura di Rosella Frasca. Società Stampa Sportiva Roma, 2007.
[2] Michele Cordero “La concezione della storia dell’arte e gli strumenti della didattica”, pag. 58 in Giulio Carlo Argan. Storia dell’arte e politica dei beni culturali, a cura di Giuseppe Chiarante. Edizioni Sisifo, 1994.
[3] Michele Cordero “La concezione della storia dell’arte e gli strumenti della didattica”, pagg. 62-63 in Giulio Carlo Argan. Storia dell’arte e politica dei beni culturali, a cura di Giuseppe Chiarante. Edizioni Sisifo, 1994.
[4] Pierre de Coubertin, Memorie olimpiche a cura di Rosella Frasca, pag. 60. Mondadori, Milano, 2003